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Davide Macullo. Riflessioni

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Davide Macullo. Riflessioni - 1

L’architettura nasce dalla gestualità infantile. Immagino un bambino che alza le braccia molto in alto, le fa ruotare verso il basso con un movimento teatrale per raccontare la sua casa, come in una danza primordiale, ritaglia con il corpo un'atmosfera dal paesaggio, definisce un territorio e costruisce il suo recinto. Questo bambino ha pensato un'architettura. Alla domanda: cosa fai nella vita, mi ha affascinato la risposta di Mikhail Baryshnikov: “Occupo lo spazio”.

Davide Macullo

L’architettura nasce dalla gestualità infantile. Immagino un bambino che alza le braccia molto in alto, le fa ruotare verso il basso con un movimento teatrale per raccontare la sua casa, come in una danza primordiale, ritaglia con il corpo un'atmosfera dal paesaggio, definisce un territorio e costruisce il suo recinto. Questo bambino ha pensato un'architettura. Alla domanda: cosa fai nella vita, mi ha affascinato la risposta di Mikhail Baryshnikov: “Occupo lo spazio”.

È sempre il momento giusto per l’architettura, perché non ha tempo. L’architettura non è legata ad un autore ma alle emozioni che sa trasmettere. Quando cammini verso la sala della preghiera del tempio del Paradiso a Pechino (XV sec.) ti accorgi come un tema semplice quale un percorso d’accesso, realizzato in pietra grigia senza tecnologie particolari, può regalare una percezione di leggerezza. Hai l’impressione di volare su un velo d'aria. È un’esperienza unica, si perde il senso di gravità. Realizzi che la raffinata scelta di semplici manipolazioni di scala trasformano una volontà e un’idea in un momento di profonda emozione, che fa sentire l'uomo al centro del mondo. Il che è molto simbolico visto che era il cammino riservato all'imperatore  Un altro esempio straordinario dell’universalità dell’architettura è il tesoro di Atreo a Micene (XIII sec. A.C.). È come dare una sbirciatina nella propria tomba. L’impressionante forza evocativa del passaggio tra la vita  e la morte è resa con raffinata sintesi attraverso l’unione di un’idea precisa e di una calibrata esecuzione dell’opera. La solida bellezza della costruzione lascia scorrere l’emozione ancestrale di un ritorno nel ventre materno.

L’architettura è relazionata al cosmo e alle persone, e come per le emozioni non ha date di scadenza. Lo stesso vale per l’arte e per la musica. Franz Gertsch (artista contemporaneo svizzero) impiega più di un anno per completare un quadro che rappresenta un bosco. Quel bosco così dipinto da lui, diventa un mondo dove trovare la motivazione profonda per migliorarsi. Come ascoltare Nemanja Radulovich (giovane violinista serbo) suonare le quattro stagioni di Vivaldi scritte all'inizio del XVIII sec.

Ci si potrebbe anche chiedere cos'è il tempo in architettura. Il tempo in architettura è regalarsi il tempo. Le mie esperienze mi suggeriscono che uno spazio può durare un istante oppure regalare un'emozione infinita che si ricorda per tutta la vita. Nel nostro lavoro cerchiamo di rivelare la presenza dei misteri di un luogo attraverso la creazione di spazi che si aprono contemporaneamente verso orizzonti seducenti e dettagli di natura. È un modo per stimolare una reazione intima, introspettiva. Il fascino di ciò che sta lontano lo si gode quando una porzione di esso ci sta accanto. Rassicura e acquieta il desiderio. Non serve costruire degli spazi da guardare ma degli spazi in cui vedere quanto si è diversi da come ci si guarda. Se il proprio spazio di vita ci corrisponde ci si sente in armonia con l’ambiente in cui si vive. Così si abita facendosi dono di un tempo prezioso e si scopre la sensazione di vivere più a lungo. Gli spazi abbracciano la vita. Un uomo quando lascia il suo spazio per sempre, di lui rimane ciò che ha dato. A chi  rimane, ciò che gli si ha offerto. Lo spazio che lui occupava ospiterà altre vite. Questa semplicità di spirito rasserena. Se gli oggetti, la natura e gli edifici ci sopravvivono, l’uomo occupa il suo spazio di vita per poi andarsene senza lasciare tracce. La brevità della vita insegna quali sono le priorità delle proprie azioni e ad assumere l’impegno e la responsabilità di costruire bene. "Un popolo civile vive in mezzo alla sua arte." (Bruno Munari).

Le sfide per un architetto sono il piacere di riuscire a competere con se stessi per aiutare gli altri a condividere le necessità proprie, che sono comuni a tutti, e tradurle in spazio costruito. È un grande traguardo. Mi piace pensare allo spazio non come un'avventura nelle tentazioni ma come un viaggio nelle emozioni. Penso a quante fatiche e competitività riempiono il lavoro della vita degli uomini per guadagnarsi della terra, anche poca, da poter coltivare. L’orto che noi coltiviamo è quello della creatività. Quando si pensa ad uno spazio che deve nascere ci si confronta continuamente con la grande qualità dell’uomo di essere ambizioso e al contempo fragile e influenzabile. La qualità di un edificio è proporzionale alla qualità di vita che offre ai suoi abitanti. Prima di essere bello o brutto, la qualità sta nella misura in cui è pensato più per l’uomo che lo abita che non per un’ideologia.

La mobilità di oggi rispetto a quella del passato è dipendente dalla comunicazione immediata. Credo che tutte le epoche siano marcate dalla mobilità, sia in senso fisico che mentale gli uomini hanno sempre viaggiato. Mi sembra di sentire ancora i sapori cosmopoliti dei vicoli delle grandi città portuali europee del rinascimento che hanno messo l'Europa al centro del mondo. Un mondo di grandi viaggiatori e fondatori di città. Sempre più le culture si sono mescolate e così anche le tipologie e i pregiudizi. Oggi forse più di ieri si respira un'aria leggera, di spiriti liberi, perché grazie alla velocità, si è vinto il senso di distacco e tutto e tutti sono vicini. Ci si sente a casa in qualsiasi posto dove si sentono parlare contemporaneamente almeno quattro lingue, altrimenti si è degli estranei.

L’uomo è nomade e sedentario nello stesso tempo, abitare è un viaggio straordinario, si viaggia più di quanto si abita. Quando ci si ferma, ci s'innesta in spazi che sono luoghi di pausa che ritmano i propri percorsi. Gli spazi si aprono verso il mondo reale ma ci accolgono quando si viaggia nei propri mondi intimi e virtuali o si coltiva l'amore. Non si perde l'abitudine di abitare ma si vive su dei rami da dove spiccare il volo verso i propri sogni. Nasce proprio dalla dualità dell’uomo (nomade-sedentario) l’idea che l’architettura deve occuparsi della nozione di avvicinamento. Più ci si avvicina a qualche cosa, questo si trasforma, svela il suoi mondi segreti.

La nostra attitudine verso la professione nasce dall'esigenza di ritagliare il maggior tempo possibile per esprimere una condizione umana. Ognuno dei nostri progetti ci rappresenta.

Il nostro lavoro parte sempre dalla matita. Lo schizzo lascia ancora la libertà al piacere dell’ignoranza. Esiste una forza propositiva intrinseca  nell'ignoranza che fa scoprire emozioni nuove. A questo proposito è molto bello il libro “Seeing is Forgetting” (Robert Irwin, 1982). Prima di conoscere il nome di un albero basta coglierne la bellezza poi magari se ne impara il nome corretto in una lingua straniera che non si riesce a ripetere. Così si fa un'associazione molto semplice e intima, che poi si spiega con altre parole, inventate. O con un disegno. Lo schizzo è una pratica intuitiva. Disegnare senza riflettere permette di scoprire cose sorprendenti che non sarebbe possibile descrivere con le parole come nell'immediatezza dello schizzo. Disegnare svela ogni volta chi si è e quanto si cambia.

Come per i bambini prima che intervengano gli adulti è un piacere iniziare senza sapere cosa si sta facendo e dove si viene trasportati. Per l’architetto è una sana espressione di potere, appena lo intuisce, sente che lo si può costruire. Allora si inizia a capire cosa significavano i disegni fatti con ricercata ingenuità. È una sorta di scrittura segreta. Le linee che tracciano gli spazi sono come le costellazioni nel cielo, non le si vedono mai nello stesso modo. Hanno profondità diverse e un grado di definizione diverso. Ogni volta si scoprono delle costellazioni nuove perché alcuni tratti si fanno più brillanti di altri. Ma al contrario delle stelle, quello che ci seduce non sono le linee, è ciò che sta tra le linee. Il paesaggio all'interno del quale ci muoviamo. E’ la vita ad occupare lo spazio.