La Casa è un Habitat

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La Casa è un Habitat
Progettare casa per renderla un “habitat” al servizio dell'armonia con spazio, luce e materia. Leggi l’intervista allo studio Vudafieri-Saverino

Le nostre case stanno cambiando, da una parte si parla di nuovo minimalismo, dall’altra si sente più bisogno di atmosfera, calore, decoro…
Non vediamo un rapporto diretto tra le “esigenze pandemiche” e il minimalismo versus l’atmosfera decor. La semplice austerità minimale e la ricchezza materica sono uno stato dell’anima e una visione del mondo. In un periodo difficile e molto domestico forse tutti ricerchiamo nei nostri habitat più empatia, calore e conforto. Le nostre case cambieranno ma non molto: un po’ di flessibilità in più, più spazi all’aperto e la ricerca di aree verdi nelle vicinanze.

La proporzione, l’artigianalità, l’alta qualità nella decorazione, quali gli elementi che non possono mancare nella vostra formula? 
Amiamo molto la definizione “progetto di relazioni”. Utilizzando una metafora ecologica, gli architetti per noi realizzano “habitat”, luoghi qualitativi che permettono alla nostra specie di relazionarsi socialmente. Semplificando molto, gli ingredienti fondamentali del nostro lavoro sono lo spazio, la luce e la materia. A questi elementi dobbiamo dare senso, aggiungendo la cura delle relazioni tra gli oggetti, lo spazio e le persone. 

Molti prodotti decorativi garantiscono altissime prestazioni e il digitale è sempre più presente. Come sta cambiando l’interior design? 
Amiamo sia la ricerca e i prodotti industriali sia la sapienza artigianale. Il digitale è una grande risorsa durante lo sviluppo del progetto ma anche perché consente facilmente di disegnare e costruire prodotti tailor made, con costi contenuti e con una libertà espressiva e “decorativa” davvero illimitata. Ugualmente, questo connubio ideale tra artigianalità e produzione seriale, lo troviamo nelle ceramiche, dove la ricchezza di finiture, di motivi decorativi e personalizzazioni consentono di creare una nuova metrica compositiva. Le ultime innovazioni anche nell’ambito delle superfici antibatteriche, autopulenti riescono a coniugare etica ed estetica in un’unica scelta. 

Il vostro studio ha sede a Milano e dal 2012 a Shangai. Quali le tendenze che stanno emergendo con forza? 
In vent’anni ci sono stati molti cambiamenti. La Cina (e Shanghai) ora è un paese realmente diverso, ma soprattutto sono cambiati i committenti. Oggi, in modo particolare a Shanghai, la concorrenza e la qualità dei progetti è uguale se non superiore a quella di Milano, Londra o New York. In merito alle tendenze, la Cina sta guardando sempre di più alle nuove tecnologie e agli edifici smart, sia dal punto di vista funzionale che costruttivo. C’è una grande attenzione verso la sostenibilità, considerando anche l’ambizioso piano del governo di arrivare ad una carbon-neutrality nel 2060. Si guarda molto all’Europa, al design italiano in particolare: ci troviamo in una situazione storica assolutamente favorevole per poter diventare un riferimento per la Cina.

Momento di passaggio epocale, a quali spazi state lavorando?
A diversi progetti per l’hotellerie, tra cui un nuovo albergo per il gruppo UNA che aprirà a breve a Milano. A questo si aggiungono due hotel a Cortina e Licata (in Sicilia) per il gruppo Falkensteiner. Nel mondo del food, dopo aver disegnato il suo nuovo ristorante Paradiso a Cannes, stiamo nuovamente collaborando con lo chef stellato francese Pierre Gagnaire per una apertura ad Abu Dhabi. Abbiamo lavorato anche ad un tema molto attuale di ridisegno dello spazio pubblico; Valet, un sistema di parklet (piccola area pedonale spesso con sedute e piante) che genera nuovi spazi all’aperto per i negozi e terrazze per i ristoranti, trasformando le strade in luoghi verdi, accoglienti.