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Paola Bellani, anima eclettica.

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Architetto e designer italiano con diverse esperienze all’estero, Paola Bellani ci parla di design e ceramica raccontandoci  anche del suo nuovo progetto editoriale con Stefano Casciani.

Qualche tempo fa (“galeotto fu Tumblr) abbiamo avuto il piacere di incontrare e di intervistare Paola Bellani, architetto e designer italiano con un portfolio di esperienze estremamente eclettico che va dal design puro alla brand identity fino a collaborazioni  con prestigiosi brand della moda per la realizzazione di fashion shows. Paola  ha vissuto a Berlino, Seoul, Singapore, Copenhagen, Brasilia e San Paolo; ora si è ristabilita a Milano e, insieme a Stefano Casciani - ex direttore di Domus - collabora alla rivista d’essai disegno”.

 

1. Analizzando un po’ il tuo percorso professionale appare piuttosto chiaramente il tuo interesse per l’identità di brand legata anche alla progettazione dello spazio. In che modo e in che misura l’architettura può aiutare un marchio a convogliare al meglio la sua identità?

In molti casi è meglio che l’architettura ignori le regole del branding. Mi sono sempre occupata di progettazione di allestimenti e scenografie principalmente per la moda e il design. Le sfilate sono un ottimo esempio di architettura temporanea dove la creatività può esprimersi al meglio, valorizzando la ricchezza dell’identità del marchio, senza i paletti del marketing tradizionale.

2. In qualità di architetto, quali credi siano le 3 migliori qualità della ceramica?

Sto apprezzando le prestazioni delle superfici ottenute con stampa 3d. Sono una sostenitrice della ceramica sia quando è dichiarata sia quando reinterpreta materiali più nobili. L’industria della ceramica, quando è alleata con il miglior design, ha dalla sua parte la potenza della ricerca e dell’industrializzazione dei processi oltre all’impegno per la sostenibilità. Sono qualità che fanno la differenza in un progetto di architettura, rispetto all’artigianalità.

3. Ci parli un po’ di disegno, il nuovo progetto editoriale che stai curando insieme a Stefano Casciani? Come è nata l’idea e qual è il filo conduttore di questo magazine d’essai?

Nel 2012, dopo molti anni alla direzione di Domus, Stefano voleva fare una rivista di approfondimento, parlare di progetto con l’industria, mentre io venivo dalla collaborazione con Fritz Hansen a Copenaghen - dove mi occupavo di brand communication - e poi da un’esperienza ricchissima con le mostre in Brasile. Per tenermi in Italia serviva un progetto importante come disegno: una rivista indipendente, di nicchia e volutamente sofisticata nell’immagine. All’inizio tutti ci dicevano che eravamo coraggiosi, in realtà serve soprattutto molta tenacia. Il nostro progetto editoriale è molto concreto: non diamo notizie, ma facciamo approfondimenti, raccontiamo sia la contemporaneità sia le esperienze del passato, e poi controlliamo il più possibile l’immagine scattando prevalentemente con i nostri fotografi. Dopo più di due anni di questo lavoro editoriale siamo piuttosto soddisfatti: abbiamo anche una versione gratuita per iPad e il pubblico e le aziende ci seguono con interesse crescente.