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Parlando con Luca Nichetto
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Luca Nichetto ci da il suo punto di vista sul rapporto "ambiente-progetto", la ceramica e la luce
Se prendiamo come riferimento il tuo ultimo progetto “ Das Haus – Interiors on stage” è evidente l’enfasi che poni sul legame tra architettura ed ambiente circostante. Quanto l’ambiente impatta sul lavoro del progettista? Per quanto mi riguarda, in fase di progettazione l’ambiente impatta già in maniera determinante e, in termini più generali, spero che il suo impatto cresca sempre di più e diventi quasi un dogma per chi opera nel mondo del progetto. Certo è che al di là di una predisposizione individuale che porta a progettare tenendo conto e cercando di rispettare l’ambiente circostante, ruolo importante lo rivestono anche le legislazioni nei diversi luoghi, ad esempio ci sono paesi dove “l’approccio green” è diventato un modo di progettare, altri invece, come l’Italia dove la legislazione, sebbene abbia fatto passi da gigante nell’ultimo decennio, ha ancora un po’ di strada da fare. Inoltre progettare in maniera ecosostenibile necessita di budget più elevati che spesso non sono messi a disposizione; in questo senso credo manchi un po’ di lungimiranza, ossia la capacità di concepire il progetto come un investimento per il futuro che permetta in un qualche modo anche di preservare l’ambiente circostante. D’altronde non dimentichiamo che la stessa parola “progetto” deriva dal latino projèctus “azione di gettare avanti” e credo, oggi, chi si occupa di architettura o urbanistica non può non tenere in considerazione il significato etimologico della parola. Ritengo oggi il progettista si trovi a fare i conti con 2 direttrici che spingono spesso in due direzioni diverse: una è la necessità di progettare meramente in funzione di qualcosa come ad esempio l’ambiente circostante, l’altra invece la voglia di stupire inserendo qualcosa in un contesto con il quale, almeno a prima vista o in un primo momento, ha poco a che fare. Il rischio, credo, nel quale il progettista deve cercare di non incorrere è quello di creare degli “ibridi senza sapore” incapaci di far dialogare in modo armonico le due situazioni; alla base di una buona progettazione ritengo debba sempre esserci un equilibrio tra fantasia e realtà fermo restando che in architettura la realtà ha spesso superato la fantasia!
Nel 2008 hai già avuto modo di incontrare Marazzi in occasione del settimana del design milanese quando hai collaborato all’opera “Tilefilm” sponsorizzata da Confindustria Ceramica. La seduta che simbolicamente rappresentava i diversi momenti della giornata in cui la persona si siede per consumare il pasto, era completamente realizzata con materiale ceramico Marazzi. Qual è quindi il tuo punto di vista sulla ceramica? Trovo che la ceramica sia un materiale estremamente interessante proprio perché è ceramica ( e qui mi rifaccio a Giò Ponti) e credo questa abbia bisogno di essere riscoperta proprio nella sua vera natura. In questi ultimi anni la ceramica è stata spesso sinonimo di reinterpretazione di altri materiali legno, pietre naturali, resine o cemento e credo, per questa ragione, abbia perso un po’ del suo valore originale perché troppo preoccupata di “voler assomigliare a qualcos’altro” . Da progettista mi sento di dire che quando scelgo un materiale, lo adotto nella sua versione originale: se legno deve essere legno, ceramica deve essere ceramica. Credo le aziende leader del settore ceramico come la vostra dovrebbero provare a rilanciare con più vigore la ceramica nella sua versione originale di mattonella, piastrella sottolineando quelle che sono le sue destinazioni d’uso tipiche e cercando poi di inserirla anche in quelle meno tipiche attraverso le leve della ricerca estetica e lo sviluppo tecnologico che certo non mancano ad un’azienda come Marazzi.
Un altro tema a cui mi sembra tu tenga molto è la luce, evidente anche nella tua ultima collaborazione con Foscarini. Descrivi il binomio Luce – Luca. La luce è sicuramente essenziale nel mio progetto in quanto è l’elemento principe con il quale sono in grado di veicolare l’intero valore emozionale del progetto. Cerco di usare la luce in modo molto attento e funzionale cercando sempre di legarla logicamente al fine che voglio perseguire e alle emozioni che desidero suscitare con quel progetto. In “Das Haus”, ad esempio, la luce doveva essere calda e molto soft per conferire all’habitat un’aurea estremamente naturale e rassicurante, non aggressiva, i visitatori dovevano sentirsi a proprio agio, quasi “coccolati” Oggi la luce trovo sia divenuta un vero e proprio elemento di design nella realizzazione del proprio spazio abitativo, alla stregua di un compendio d’arredo o di una finitura. La luce disegna gli spazi creando le zone di luce e di ombra personalizzando gli ambienti a seconda delle esigenze di chi vi abita Nella gallery alcune foto del progetto "Das Haus" , di "Magic Windows" di Foscarini e di "Tilefilm" opera realizzata interamente con ceramiche Marazzi