Il mio studio

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Casa Marazzi Studio 2 final
Nel racconto di Valentina Cameranesi Sgroi per il progetto "Marazzi.Under the Skin", lo studio non è solo uno spazio fisico, ma un’estensione della propria identità creativa.

Marazzi. Under the Skin è un progetto editoriale che celebra i 90 anni di Marazzi, dove la ceramica diventa materia narrativa, capace di raccontare l’identità degli spazi e di chi li vive.

Nel volume, Una Casa Immaginata — una villa di fantasia ideata dalla designer britannica Charlotte Taylor — dà vita a sei ambienti sospesi tra realtà e visione, in cui superfici, colori e texture Marazzi creano atmosfere intime e suggestive.

Nel racconto di Valentina Cameranesi Sgroi, lo studio non è solo uno spazio fisico, ma un’estensione della propria identità creativa. Tra oggetti raccolti, materiali effimeri e sogni di ambienti futuri, emerge una riflessione sul valore del tempo, della memoria e del design come gesto quotidiano. Un elogio alla libertà di pensiero e alla bellezza del disordine fertile.

“Proprio come il mio lavoro, il mio studio non è uno spazio definito. In questo momento è una stanza caotica all’interno di casa mia a Milano. Accanto alla scrivania beige c’è quella del mio compagno, che è nera. Intorno ci sono una cassettiera con sopra i suoi disegni, un dittico di Camille Vivier, una gabbia di legno, dischi, e un archivio con tutte le mie cose: cartoline, pezzi di carta, buste da lettera, foto, prove di stampa, campionari, riviste di moda degli anni ’30, tovagliolini delle pasticcerie. Tutto questo materiale effimero è organizzato in scatole, quindi non lo vedo eppure so che c’è. La stessa cosa vale per i libri di arte contemporanea e di narrati- va. Quando torno a casa, li trovo lì che mi aspettano e mi dicono: “Quando ci guardi?”. Non lo so quando, ma lo farò, e questa cosa mi dà allegria. È una tendenza all’accumulo che contiene gioia e potenziale.

Il lavoro che faccio nello studio di casa è sospeso e liquido rispetto a quello che svolgo in ufficio. Dal momento che sono sola, perdo più tempo, ma è un tempo piacevole, che mi consente di fare esperimenti e confrontarmi con me stessa. Lo studio per me deve essere uno spazio d’identità e libertà, dove tirare fuori tutto, mentalmente e fisica- mente, per poi riorganizzarlo e andare avanti nei progetti e nelle idee. Ricordo ancora il momento in cui mia madre portò una scrivania nella mia cameretta: anche se ero molto piccola, tutti i giorni la aprivo e tiravo fuori le mie cose, e alla sera le rimettevo tutte via. Era un luogo sacro, un tavolo-mondo. Ancora oggi, lo studio di casa è il luogo in cui mi fermo a disegnare. Quando sono in viaggio, mi porto sempre un sacchettino con delle penne, ma poi finisce che non le uso mai. Il gesto istintivo del disegna- re, non necessariamente con uno scopo, è connesso fortemente al mio studio, come se avessi bisogno di un punto di ancoraggio per metterlo in pratica.

Casa Marazzi Studio 1 final

Gli inglesi hanno il concetto di drawing room, che è più grande dello studio ed è una stanza in cui ri- tirarsi per leggere, concentrarsi, o ricevere ospiti. Le mie drawing room di riferimento sono quelle di Mackintosh, in Scozia. Disegnare lì sarebbe un sogno, con quella sedia a cubo che sembra una scatola e quel divano costruito sotto la finestra. Mi piaccio- no molto gli arredi built-in perché ti consentono di giocare con il rivestimento, sarebbe bello ad esempio avere una panchetta integrata in cucina e rivestirla di piastrelle. In generale, quando si tratta di rivestimenti mi piace l’idea che le stanze possano avere finiture diverse tra di loro. In camera da letto il cocco, che è duro ma avvolgente. Le piastrelle, secche ma brillanti e colorate, sono adatte al bagno e alla cucina, ma mi piacciono anche negli spazi di soglia, per dare un senso di continuità tra il dentro e il fuori. Nello studio va il legno, che è caldo e assorbe quello che gli sta attorno.

Se mi proietto nel futuro, mi vedo in uno studio da sola. È strano, però, che a quella visione io non riesca ancora a dare contorni precisi. Da una parte, m’immagino un ambiente decorato e colorato, femminile in un certo senso, pieno di libri, con un giradischi, una lampada da tavolo, e la carta da parati che incornicia una finestra, che è fondamentale perché ti permette di vedere la vita che scorre intorno a te, senza aver bisogno di uscire. Dall’altra sono attratta dall’idea di una stanza asciutta, neutra, austera, come un foglio bianco in cui potere ogni volta ricominciare da zero. Ma è poi davvero possibile ricomincia- re da zero? Io vedo i miei progetti come cellule che si moltiplicano, microrganismi che tutti insieme crescono e vanno a formare una creatura più grande.

Qual è la cosa più giusta da fare? Separare maggiormente lo studio dal resto della casa, trasformandolo in una scatola chiusa? O integrarlo invece, ammettendo così che fa parte di me? Sono domande che riguardano anche quanto la mia professione definisce la mia vita. Per questo per me lo studio non è più semplicemente uno spazio o una conseguenza, è un luogo a cui oggi voglio pensare in modo attivo, dandogli una legittimità e un’importanza specifica. In futuro può essere che lo studio sparisca da molte case, perché le persone lavoreranno dal letto o dal tavolo di cucina, ma a me piace pensare che ci sarà ancora chi avrà bisogno di un luogo sacro in cui ritirarsi per pensare, scrivere, disegnare.” – Valentina Cameranesi Sgroi

Contributo: Valentina Cameranesi Sgroi
Immagini: Charlotte Taylor

Floor: Crogiolo ArtCraft Argilla

Valentina Cameranesi Sgroi
Nata a Roma, Valentina Cameranesi Sgroi ha studiato product design all’ISIA. Dopo la laurea ha avuto esperienze sia in ambito editoriale che come illustratrice in Italia e all’estero. Attualmente vive a Milano, dove lavora come art director e scenografa con Enrico Pompili, oltre che come consulente freelance e direttore creativo per mar- chi e riviste. Il suo lavoro personale esplora il rapporto tra artificiale e naturale, attraverso vari media, in particola- re fotografia, video e ceramica.